Banshee – Recensione 4×02 – The Burden of Beauty

Lo sentite anche voi, vero, che Banshee sta cambiando? Non si tratta di qualcosa di così palese da farti esclamare “ma che cazzo sto guardando?!”, è sempre la stessa serie, c’è la stessa spietatezza e i soliti momenti WTF che ci hanno fatto innamorare, ma in alcune cose è anche molto diversa e io lo avverto. Sarà il fatto che ci troviamo di fronte ad una stagione che di per sé è un esperimento, sia per le tematiche introdotte (quella del serial killer, novità assoluta per la serie) sia per i metodi di narrazione (questi costanti flashback così poco onirici, visivamente ed emotivamente diversi rispetto a quelli che vedevamo nelle precedenti stagioni) o sarà il fatto che, giunti ormai al suo capitolo finale, la serie voglia dare un’ultima prova di quello che è in grado di fare, ma io già mi sento nostalgica della formula vincente della terza stagione, che mi ha tenuta incatenata al computer ben più a lungo dei 50+ minuti di durata della puntata (e mi riferisco alle volte che mandavo indietro per rivedere una determinata scena).
Non fraintendiamoci, con questo marginale cambiamento di rotta Banshee continua a dimostrarci che, nonostante si trovi nella sua stagione conclusiva, non vuole smettere di sorprenderci e non vuole smettere di mettersi in gioco; è stata presa una decisione coraggiosa, ma Banshee, proprio come i suoi personaggi, è una serie davvero coraggiosa.

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In Something out of the Bible abbiamo scoperto quale è uno dei fili conduttori della stagione, quel ponte che serve a collegare Hood e Proctor e a farli collaborare, come Tropper aveva promesso durante una vecchia intervista. E nonostante Rebecca sia morta, la sua presenza non è mai stata viva come adesso. Grazie a dei flashback che ci portano continuamente indietro nel tempo, riusciamo piano piano a ricostruire gli ultimi mesi della ragazza e le azioni che l’hanno condotta ad una morte violenta. Rebecca, così come Laura Palmer prima di lei, è filled with secrets (citazione doverosa, perdonatemi) e questo modus narrandi che ci costringe a guardare costantemente indietro ed in avanti per ricostruire i fatti, senza mai darci sosta, non solo crea il giusto hype, ma ci permette di essere noi stessi parte dell’indagine e di farci un’idea nostra senza essere troppo condizionati dalle opinioni dei personaggi. Questo è un modo di fare tipico dei crime drama che, stranamente, trova la sua giusta collocazione anche in Banshee – che, effettivamente, sta un po’ cambiando rotta rispetto agli anni passati. La mossa di aggiungere un serial killer è sicuramente audace e, nonostante io mi renda conto che, per lo stile di vita condotto da Rebecca, fare una fine del genere sia molto plausibile, una parte di me non è pienamente convinta che questo sia ciò che mi aspettavo di vedere. Parliamoci chiaro, lo adoro. Adoro tutti i riferimenti a Twin Peaks e le ambientazioni rievocative di True Detective, adoro anche vedere questa contorta collaborazione che unisce il nostro antieroe al villain, ma per me Banshee non è il caso da dover risolvere, per me Banshee è ben altro.

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Per fortuna Banshee rimane anche attaccato alle sue origini ed è proprio nelle scene del personaggio di Carrie che io mi sento di nuovo a casa. In una lotta che ormai va avanti da più stagioni per i suoi figli, per averli insieme a sé nonostante i rischi che questi corrano insieme a lei – e, forse, anche per questo vuole tenerli con sé, perché lei è l’unica in grado di proteggerli davvero – la vediamo raggiungere un pericolosissimo equilibrio nelle sue azioni da vigilante. Formando un’improbabile quanto perfetta squadra con Bunker, Carrie veste di nuovo i panni di Ana (ogni volta che Lucas la chiama in quel modo, il mio cuore trema d’amore) per ripulire la città dalla delinquenza che la affligge, ma non c’è del finto buonismo in questo suo desiderio, lei lo fa principalmente per se stessa, per dare sfogo alle frustrazioni di quella parte di vita che non può controllare. È in queste scene che Banshee torna ad essere se stesso, nel perfetto parallelismo tra il discorso di Calvin e le azioni di Carrie, nelle azioni illecite di Proctor (che sia la gestione di un traffico di droga, l’estorsione o l’omicidio non importa), nella spettacolare violenza nella tenuta dei Boedicker – a tal proposito, è così che mi piace vedere inserita la storia dell’omicidio.

Sugar continua ad essere la coscienza di Hood e dà voce a quello che è anche un mio pensiero: perché arrendersi così presto a trovare Job e accanirsi così tanto nel trovare l’assassino di Rebecca? Hood nel corso delle quattro stagioni ha compiuto un percorso distruttivo che, arrivati alla sua stagione conclusiva,lo sta portando a precipitare ancora più in basso. Dopo aver visto tutte le persone a lui care morire o rischiare la loro vita, ha ormai raggiunto il punto di non ritorno. “Da qualche parte c’è una panchina così che ti aspetta“, gli aveva detto Rabbit prima di morire e sappiamo tutti che quelle parole sono una vera e propria profezia.
Nonostante Hood si sia lasciato andare per ad uno stato di disperazione e trasandatezza non tanto del fisico quanto dell’anima, vederlo arreso alla morte di Job mi ha fatto un’effetto spiacevolissimo e di sicuro l’atto di aver lasciato perdere così presto gli si ritorcerà contro nel momento in cui si renderà conto che il suo amico è vivo.
Job è vivo ma, insomma, come poteva essere altrimenti? Non è in ottima forma, umiliato fisicamente da una delle tecniche di tortura e sottomissione più vecchie al mondo, ma comunque è vivo e spero che questo significhi che le prossime puntate siano più incentrate sul suo ritrovamento che su quello dell’omicida di Rebecca.

Ovviamente non dovete mal interpretare le mie parole, sto adorando la quarta ed ultima stagione così come sono sicura che la sua conclusione non mi lascerà con l’amaro in bocca, siamo ancora all’inizio della fine ed è ancora tutto da vedere. La scelta di terminare così presto la serie è stata una scelta difficile da accettare ma assolutamente giusta: c’è un percorso da svolgere e quando questo si conclude è bene saper mettere la parola fine. Per adesso, comunque, godiamoci quello che ci spetta di vedere.

BANSHEE ORIGINS

Un vero fanshee sa che i video di Banshee Origins sono dei tasselli davvero essenziali del puzzle finale e in questa stagione conclusiva mi sembrano ancora di più significativi. Recuperateli (cliccando qui troverete la playlist completa delle origins della quarta stagione) perché aggiungono davvero qualcosa in più alla visione degli episodi. Sono tutti ambientati nel locale di Sugar e ognuno dei personaggi, in un arco di tempo che abbraccia tre anni, si è ritrovato ad avere bisogno di un goccio di qualcosa di forte intanto che condivideva una parte della propria storia.

Nel salutarvi, vi ricordo di passare dai nostri amici di Banshee Italia e di seguirci nella nostra pagina facebook!

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About Jeda

Jeda
Top 5 : Banshee, Twin Peaks, Son of Anarchy, Homeland, Downton Abbey. Nata e cresciuta in mezzo al verde e alla campagna nel lontano 1990, Jeda sviluppa sin da piccola l’innata capacità di stare ore ed ore seduta di fronte un qualsiasi schermo a guardare serie tv - che, in età infantile, erano cartoni animati. È una dote che le tornò utilissima con l’avvento dello streaming, riuscendo a vedere telefilm senza stancarsi mai, ignorando completamente lo studio e i risultati si vedono: fuoricorso da circa mille anni, la sua preoccupazione principale è quella di riuscire ad essere in paro con i recuperi, almeno una volta nella vita. Le piace leggere, scrivere ed ha una passione quasi ingestibile per le cose oscene.

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